Riconversione armata per Finmeccanica
Un vecchio vizio della sinistra e dei movimenti è tenere separate la lotta per il lavoro e quella contro la guerra, mentre invece sono due facce della stessa medaglia. Emblematico il fatto che, quando Finmeccanica ha annunciato la vendita alla giapponese Hitachi di Ansaldo Sts e Ansaldo Breda, l’attenzione politica e sindacale si è concentrata sulla difesa dell’occupazione, lasciando in ombra la portata strategica della decisione: ridurre la produzione civile per accrescere quella militare.
Nella classifica delle 100 maggiori industrie produttrici di armi redatta dal Sipri, Finmeccanica si colloca al nono posto mondiale, preceduta da sei statunitensi (Lockheed-Martin. Boeing, Raytheon, Northrop Grumman, General Dynamics, United Technologies), una britannica (Bae Systems) e una franco-tedesca-spagnola (Airbus Group, già Eads). Con la vendità di armi, Finmeccanica realizza il 50% del suo fatturato: ciò significa che, accrescendo tale produzione, salirà di rango tra le maggiori industrie belliche mondiali.
Tale operazione viene effettuata vendendo a Hitachi l’Ansaldo Sts, azienda leader nei sistemi di segnalamento per trasporto ferroviario e urbano, e Ansaldo Breda, leader nella produzione di materiale rotabile per sistemi ferroviari (compresi treni ad alta velocità) e per trasporto urbano (già oltre 1000 convogli per le metropolitane di Washington, Los Angeles, San Francisco, Miami e altre grandi città, Milano compresa). Anche se Hitachi promette di mantenere i livelli occupazionali di queste industrie (le cui attività produttive, probabilmente, saranno in futuro delocalizzate in paesi dove il costo del lavoro è inferiore), resta il fatto che l’Italia dovrà acquistare dalla giapponese Hitachi sistemi di segnalamento e materiale rotabile, spendendo (con denaro pubblico) molto di più per i trasporti.
In compenso Finmeccanica accrescerà fatturato e profitti puntando su industrie come la Oto Melara, produttrice di sistemi d’arma terrestri e navali (tra cui il veicolo blindato Centauro, con potenza di fuoco di un carrarmato, e cannoni con munizioni guidate Vulcano venduti a più di 55 marine nel mondo); la Wass, leader mondiale nella produzione di siluri (tra cui il Black Shark a lunga gittata); la Mbda, leader mondiale nella produzione di missili (tra cui quello anti-nave Marte e quello aria-aria Meteor); l’Alenia Aermacchi che, oltre a produrre aerei da guerra (come il caccia da addestramento avanzato M-346 fornito a Israele), gestisce l’impianto Faco di Cameri scelto dal Pentagono quale polo di manutenzione dei caccia F-35 schierati in Europa.
La riconversione di Finmeccanica dal civile al militare, che riduce i posti di lavoro dato che le industrie belliche high-tech richiedono meno addetti, è stata incoraggiata dall’attuale e dai precedenti governi: lo scorso ottobre, la ministra della difesa Pinotti ha presenziato alla firma dell’accordo di collaborazione tra Finmeccanica e Fincantieri per la costruzione di navi da guerra con «l’obiettivo di aumentare la competitività sui mercati nazionali ed esteri».
Sul mercato italiano ci pensa il governo ad assicurare la «competitività»: la «Legge di stabilità» stanzia 6 miliardi di euro per la costruzione di altre navi da guerra e il Ministero dello sviluppo economico ha già finanziato 8 delle 10 fregate lanciamissili Fremm. Altro denaro pubblico che si aggiunge alla spesa militare: 52 milioni di euro al giorno secondo la Nato, 67 secondo il Sipri. Sempre il governo promuove l’export militare, dietro il paravento del «Trattato sul commercio di armamenti» che l’Italia ha solennemente firmato.
Manlio Dinucci