I tagli? L’Italia sta acquistando 90 caccia F-35
I caccia F-35 non sono gli unici ad essere stealth (furtivi), ossia capaci di sfuggire all’avvistamento. Tale capacità l’ha acquisita anche il governo Renzi. Si è impegnato lo scorso settembre, in base a una mozione Pd, a «riesaminare l’intero programma F-35 per chiarirne criticità e costi con l’obiettivo finale di dimezzare il budget» da 13 a 6,5 miliardi di euro, cifra con cui – si stima –si potrebbe acquistare, oltre ai 6 già comprati, una ventina di F-35. Contemporaneamente la ministra della difesa Pinotti si è esibita in una serie di manovre diversive: in marzo ha dichiarato che sugli F-35 «si può ridurre, si può rivedere», in luglio ha giurato che di fronte alle disfunzioni tecniche degli F-35 «l’Italia non acquisterà niente che non sia più che sicuro per i piloti», in ottobre ha annunciato «l’impegno per l’acquisto di altri due F-35».
A prenotarli per conto dell’Italia è stato il Pentagono che, il 27 ottobre, ha concluso un accordo con la Lockheed Martin (principale contractor) per l’acquisto di altri 43 F-35, di cui 29 per gli Usa, 4 rispettivamente per Gran Bretagna e Giappone, e 2 rispettivamente per Norvegia, Israele e Italia. Non si sa quanto verrà a costare ogni caccia: l’accordo stabilisce che «i dettagli sul costo saranno comunicati una volta stipulato il contratto». L’Italia si impegna quindi ad acquistare altri F-35 senza conoscerne il prezzo. Una stima di massima si può ricavare dal bilancio del Pentagono, che prevede per l’anno fiscale 2015 (iniziato il 1° ottobre 2014) uno stanziamento di 4,6 miliardi di dollari per l’acquisto di 26 F-35, ossia 177 milioni di dollari – equivalenti a circa 140 milioni di euro – per ogni caccia. La Lockheed assicura che, grazie all’economia di scala, il costo unitario diminuirà. Tace però sul fatto che, come avviene per ogni sistema d’arma, l’F-35 subirà continui ammodernamenti che faranno lievitare la spesa.
La stessa Lockheed conferma ufficialmente, mentre scriviamo, che «l’Italia riceverà 90 F-35, una combinazione di F-35A a decollo e atterraggio convenzionale e di F-35B a decollo corto e atterraggio verticale». Questi ultimi, adatti alla portaerei Cavour e alle operazioni di assalto anfibio, sono notevolmente più costosi. Dato che il comunicato della Lockheed non viene smentito da Roma, è evidente che il governo italiano si muove su due piani: da un lato mantiene sottobanco l’impegno con Washington ad acquistare 90 F-35 a un costo ancora da quantificare, dall’altro si impegna in parlamento a dimezzare il budget finale per gli F-35, fidando sul fatto che l’acquisto avviene a lotti nell’arco degli anni e che le promesse di oggi possono essere facilmente cancellate domani, invocando la necessità di garantire la «sicurezza» del paese.
Sempre la Lockheed Martin sottolinea il fatto (largamente ignorato nel dibattito nostrano sugli F-35) che l’Italia è non solo acquirente ma, con oltre venti aziende, produttrice dei caccia tanto che «in ogni F-35 prodotto ci sono parti e componenti made in Italy». La partecipazione dell’Italia al programma F-35 viene presentata come un grande affare, ma non si dice che, mentre i miliardi dei contratti per l’F-35 entrano nelle casse di aziende private, quelli per l’acquisto dei caccia escono dalle casse pubbliche. Né si dice quanto vengono a costare i pochi posti di lavoro creati in questa industria bellica. L’impianto Faco di Cameri, con 20 fabbricati e una superficie di mezzo milione di metri quadri, costato all’Italia quasi un miliardo di euro, dà lavoro a meno di mille addetti che, secondo Finmeccanica, potrebbero arrivare a 2500 a pieno regime. La Lockheed è però ottimista: «L’impianto di Cameri può fornire un significativo appoggio operativo alla flotta F-35 nell’area europea, mediterranea e mediorientale». In altre parole, lo sviluppo di Cameri è legato allo sviluppo delle guerre Usa/Nato in quest’area.
Manlio Dinucci